Diritto alla riservatezza: riconoscimento ed evoluzione normativa

Quella che con un termine ormai entrato nell’uso comune viene indicata come privacy, è il diritto alla riservatezza delle informazioni personali e della propria vita privata, cioè uno strumento posto a salvaguardia e a tutela della sfera privata del singolo individuo.

La facoltà di impedire che le informazioni riguardanti tale sfera personale siano divulgate in assenza dell’autorizzazione dell’interessato, od anche il diritto alla non intromissione nella sfera privata da parte di terzi.

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Diritto alla riservatezza: significato

Per diritto alla riservatezza si intende il “diritto a tenere segreti aspetti, comportamenti, atti relativi alla sfera intima della persona”.

Tale diritto assicura all’individuo il controllo su tutte le informazioni e i dati riguardanti la sua vita privata, fornendogli nel contempo gli strumenti per la tutela di queste informazioni.

L’istituto nasce come “diritto a essere lasciato in pace” negli Stati Uniti nel 1890, e viene elaborato nel nostro paese solo a partire dagli anni ‘60-’70, come generico diritto alla libera determinazione nello svolgimento della propria personalità.

Negli USA, infatti, il 15 dicembre 1890 i giuristi Samuel Warren e Louis Brandeis pubblicarono sulla rivista Harvard Law Review un articolo denominato “The right to privacy”, considerato uno dei saggi più influenti nella storia della legge americana, in quanto, in tale documento è evocato per la prima volta il concetto di diritto alla privacy.

Warren e Brandeis, ispirati dalla lettura dell’opera del filosofo statunitense Ralph Waldo Emerson, che proponeva la solitudine come criterio e fonte di libertà, definirono, il diritto alla riservatezza come the right to be let alone ovvero “diritto di essere lasciato da solo”.

Si applica la logica del recinto: il cosiddetto ius excludendi alios (ovvero il diritto di escludere tutti gli altri), che indica la facoltà del proprietario di opporsi a ogni ingerenza degli estranei relativamente al bene oggetto del proprio diritto, quale che ne sia la giustificazione (art. 832 c.c.).

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Il diritto alla riservatezza va rispettato

Il dibattito sulla esistenza nel nostro ordinamento di un diritto alla privacy/riservatezza è rimasto sopito per tutto l’inizio del secolo scorso, per poi comparire con vigore nel corso degli anni cinquanta, anche se decisamente in ritardo rispetto alle esperienze statunitensi e francesi.

Si trattava di affermare o meno l’esistenza di un generico diritto della persona di essere tutelata contro indiscrezioni altrui e contro la divulgazione al pubblico di fatti attinenti alla propria sfera privata, e di trovarne il fondamento giuridico al di fuori dei casi di tutela del riserbo espressamente previsti dalle leggi.

Non era presente, infatti, nel nostro ordinamento una norma che parlasse espressamente di diritto alla riservatezza: il diritto alla riservatezza può essere collocato nell’ambito di quei diritti di nuova formazione, non presenti all’epoca della codificazione costituzionale.

Pertanto, questo diritto è stato spesso desunto dall’interpretazione sistematica di altre norme della Carta Fondamentale, seguendo una sorte simile ad altri diritti “nuovi” ed ha trovato tutela costituzionale tramite un ancoraggio alla fattispecie aperta rappresentata dall’art. 2 della Carta.

Come affermato dalla Cassazione, la disciplina degli ambiti di tutela della vita privata del soggetto, pur non trovando espressa menzione nelle disposizioni costituzionali, ha il suo primo referente nel complesso dei principi da questa ricavabili.

Il diritto alla riservatezza, quale diritto della personalità, consente di individuare il correlativo fondamento giuridico ancorandolo direttamente all’art. 2 Cost., norma di carattere precettivo e non programmatico.

Corte di Cassazione (sent. 5658/1998)

Prima che si giungesse ad una normativa espressa in materia, i primi riferimenti alla privacy si possono far risalire alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), ratificata dall’Italia nel 1955, che prevede all’art. 8 che “ogni persona ha diritto al rispetto della propria via privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza”.

Stabilendo già che “non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio del diritto alla propria libertà individuale, a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge in quanto misura necessaria per la sicurezza nazionale, per la pubblica sicurezza, per il benessere economico del paese, per la difesa dell’ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale, o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui”.

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Diritto di riservatezza: principio di lealtà

Questo fondamentale concetto è stato poi riportato ed espanso in vari accordi internazionali, come ad esempio quello di Schengen, ed anche nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che all’art. 8 prevede il diritto di ogni persona alla protezione dei dati di carattere personale che la riguardano.

Tali dati devono essere trattati secondo il principio di lealtà, per finalità determinate e in base al consenso della persona interessata o a un altro fondamento legittimo previsto dalla legge. Aggiungendo a ciò, il diritto di ogni persona ad accedere ai dati raccolti che la riguardano e ad ottenerne la rettifica.

Tra le fonti comunitarie contenenti riferimenti alla privacy ricordiamo direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, che da maggio 2018 sarà sostituita dal Regolamento generale europeo.

La direttiva 95/46 è la c.d. direttiva madre in materia di protezione dei dati, nata nel 1995 in un momento in cui tutta l’Europa ha sentito l’esigenza di trovare dei punti di riferimento comuni in materia di privacy, laddove proprio delle prime tecnologie, dei primi problemi di protezione dei dati nella vita online e nella vita reale stavano cominciando ad affacciarsi (non paragonabili a quelli di oggi) e le soluzioni trovate a questi problemi erano le più disparate nei paesi europei.

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GDPR in Italia

Il nuovo Regolamento Generale Europeo sulla Protezione dei Dati Personali (GDPR), affronta temi come il diritto d’accesso facilitato e la portabilità dei dati personali, così come il diritto di opposizione, di rettifica, di cancellazione ed il diritto all’oblio. Prende inoltre in esame la gestione della sicurezza dei dati personali in funzione del diritto di riservatezza.

Il GDPR in Italia sostituisce l’attuale Codice della Privacy (D. Lgs. 196/2003). Entro il 25 maggio 2018 tutti dovranno risultare conformi al nuovo Regolamento Generale Europeo sulla Protezione dei Dati Personali (GDPR) per non incorrere in pesanti sanzioni.

Per quanto riguarda la legislazione italiana, come detto, è inutile cercare norme sulla privacy nella carta Costituzionale, essendo nata in un’epoca nella quale il problema era poco sentito.

Però nel tempo si sono ritrovati numerosi riferimenti tra le righe delle varie disposizioni, in particolare negli articoli 14, 15 e 21, rispettivamente riguardanti il domicilio, la libertà e segretezza della corrispondenza, e la libertà di manifestazione del pensiero.

Anche se, il primo e più importante riferimento, continua a ravvisarsi nell’articolo 2 della Costituzione, in quanto si incorpora la privacy nei diritti inviolabili dell’uomo.

Quindi, le prime elaborazione del diritto alla privacy, le abbiamo a livello giurisprudenziale: con la sentenza della Corte di Cassazione n. 4487 del 1956, a seguito di un ricorso degli eredi del tenore Enrico Caruso, con la quale si identificava tale diritto nella tutela delle situazioni e vicende strettamente personali e familiari, le quali, anche se verificatesi fuori dal domicilio domestico, non hanno per i terzi un interesse socialmente apprezzabile.

Una tale affermazione è divenuta fondamentale per il bilanciamento tra riservatezza e diritto di cronaca, in quanto la linea di demarcazione tra privacy e diritto all’informazione di terzi è oggi data dalla popolarità del soggetto, pur precisando che anche soggetti famosi conservano tale diritto, però limitatamente a fatti che non hanno niente a che vedere con i motivi della propria popolarità.

In un primo momento, pertanto, il concetto di privacy si evolse a mezzo di pronunce giurisprudenziali.

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Privacy policy e nuove tecnologie

Una forma concreta ed esplicita si tutela, si è raggiunta con la legge 31 dicembre 1996 n. 675, oggi sostituita dal Codice in materia di protezione del dati personali (d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196), meglio conosciuto con il nome di Codice della Privacy, dal quale si evince chiaramente che la privacy non è solo il diritto a non vedere trattati i propri dati senza consenso, ma anche l’adozione di cautele tecniche ed organizzative che tutti, compreso le persone giuridiche, devono rispettare per procedere in maniera corretta al trattamento dei dati altrui.

La disciplina ordinata della materia si è resa quantomai necessaria con l’avvento delle nuove tecnologie, dei computer e dei sistemi di raccolta e conservazione cd. banche dati. Strumenti entrati nell’uso comune, e diventati una sorte archivio di tutti i dati e le informazioni, anche quelle più personali, attinenti ad un soggetto.

Il Codice ha chiarito che chiunque ha diritto alla protezione dei dati personali che lo riguardano ed il trattamento di questi dati deve svolgersi nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, nonché della dignità dell’interessato, con particolare riferimento alla riservatezza, all’identità personale e al diritto alla protezione dei dati personali.

Oggetto della normativa sulla privacy sono i dati personali, cioè “qualunque informazione relativa a persona fisica, identificata od identificabile, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale”.

Il trattamento di dati personali da parte di privati o di enti pubblici economici è ammesso solo con il consenso espresso dell’interessato, che può riguardare l’intero trattamento ovvero una o più operazioni dello stesso, ed è validamente prestato solo se è espresso liberamente e specificamente in riferimento ad un trattamento chiaramente individuato.

Privacy ed il bilanciamento d’interessi

Con il nuovo testo, il legislatore si è orientato verso un’ottica di circolazione dei dati e si prefigge l’obbiettivo di raggiungere il generale bilanciamento di interessi tra titolare, ovvero colui che ha un interesse a ricevere e a trattare i dati, e l’interessato, ovvero colui che mette a disposizione del titolare i propri dati.

Con questo semplice ma determinante principio il diritto alla privacy transita da una precedente visione di diritto ad essere lasciati soli ad una visione totalmente innovativa.

Il diritto alla riservatezza ha un’accezione prevalentemente negativa (ius excludendi alios dalla propria vita privata), in quanto è volto a non far rilevare informazioni sul nostro conto, essendo legato alla stessa concezione che è alla base del diritto di proprietà.

Quindi, mentre la privacy rappresenta una sorta di diritto individuale, che tutela il singolo nella sua solitudine, il diritto alla protezione dei dati personali, invece, estende la tutela dell’individuo oltre la sfera della vita privata e in particolare nelle relazioni sociali, così garantendo l’autodeterminazione decisionale e il controllo sulla circolazione dei propri dati.

In base alla normativa che regolamenta tale diritto, ogni individuo può pretendere che i suoi dati personali siano raccolti e trattati da terzi solo nel rispetto delle regole e dei principi previsti dalle leggi in materia, sia dell’Unione Europea che dei singoli Stati nazionali.

Lo scopo della normativa è quello di attribuire al solo interessato il potere di disporre dei propri dati, assicurando all’individuo il controllo su tutte le informazioni riguardanti la sua vita privata, e fornendogli gli strumenti per la tutela di queste informazioni.