Giudici tributari professionali, cosa c’è da sapere?

Si parla spesso di magistrati e di giudici che affollano tribunali e corti d’appello di tutta Italia.

Si tratta di magistrati civili e penali che si occupano di due delle principali materie dell’ordinamento giuridico italiano: il diritto penale ed il diritto privato.

Ad esse si annettono i magistrati dei Tribunali Amministrativi Regionali, i cosiddetti TAR, nonché i giudici selezionati della Corte di Cassazione e della Consulta.

Meno rilevanza hanno invece i giudici di pace ed i giudici tributari: i primi ricoprono quasi un ruolo marginale rispetto ai corrispondenti giudici civili.

I secondi appartengono alle commissioni tributarie e vengono interpellati ogni qualvolta sorge una vertenza fra contribuente e Fisco. Dei due, i giudici tributari sono quelli che maggiormente subiscono il peggio del sistema giudiziario italiano, sia in tema di remunerazione e diritti, sia per quanto concerne il numero di controversie.

Eppure i magistrati tributari hanno un’importanza cruciale nella tutela dei diritti del contribuente e per la corretta applicazione della normativa fiscale.

Tant’è che si pensa di istituire dei giudici tributari professionali da qui ai prossimi anni, con mansioni e rilievo alla stregua di qualsiasi altro magistrato.

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Giudici tributari professionali, cosa c’è da sapere?

La notizia è di qualche giorno fa e viene riportata dalle principali testate giornalistiche specializzate in diritto, giurisprudenza ed economia italiana.

Se fosse vera dovrebbe rivoluzionare l’intero sistema giudiziario e rendere efficiente e proficua l’applicazione della disciplina fiscale su ogni fronte.

In linea di massima le forze di maggioranza del governo attuale hanno depositato una proposta di legge per la costituzione di una quinta magistratura che si dovrebbe occupare in via esclusiva di tutta la materia tributaria.

Nello specifico si dovrebbero creare dei Tribunali Tributari (sembra uno sciogli lingua) e delle Corti d’Appello Tributarie dislocate su tutto il territorio Nazionale con competenza provinciale e regionale così come avviene con le altre magistrature.

La proposta dovrebbe modificare l’assetto giurisdizionale attualmente in vigore che si basa sull’esistenza di Commissioni Tributarie con competenza territoriale provinciale e regionale.

Ma il punto di svolta della riforma dovrebbe essere la nomina dei giudici (800 in tutto circa, a cui si aggiungerebbero 100 giudici monocratici) che avverrebbe mediante concorso con esami ad hoc nella materia tributaria.

La costituzione di una magistratura fiscale andrebbe ad affiancarsi alle quattro già esistenti magistrature che operano nell’ambito ordinario (civile e penale), amministrativo (i TAR), contabile (Corte dei Conti) e militare (Tribunali Militari).

I vantaggi sarebbero molteplici perché, a differenza della situazione attuale, si avrebbe:

  • una migliore attuazione del principio del giusto processo, così come delineato dall’art. 111 della Costituzione.
  • la possibilità di garantire imparzialità e terzietà (sempre in virtù dell’art. 111 Cost.).
  • la presenza effettiva di una magistratura deputata all’interazione ed ai rapporti di mediazione fra contribuente e Fisco.

Un passo in avanti si avrebbe ulteriormente con il trasferimento della gestione dei Tribunali Tributari dal Ministero dell’Ecomonia e delle Finanze (che attualmente li sovraintende) alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con l’istituzione di un organo indipendente, il Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria, posto al vertice dell’intera magistratura.

Con tale cambiamento le magistrature tributarie opererebbero ulteriormente secondo criteri di imparzialità e di terzietà, visto che le vertenze riguardanti l’Agenzia delle Entrate hanno, direttamente o indirettamente, a che fare con il MEF.

magistrati tributari avranno dinnanzi a loro una carriera non semplice, che partirà dal superamento di un difficile concorso (incentrato sul diritto tributario) per giungere ad un’esperienza comprovata presso i tribunali specializzati, a cui si affiancheranno corsi di formazione annuali obbligatori per assicurare un’effettiva conoscenza della materia tributaria (che, come sappiamo, cambia di anno in anno).

L’incarico per i giudici delle corti d’appello durerà cinque anni e non sarà rinnovabile ulteriormente, mentre per le vertenze di valore non superiore ai 30 mila euro (e per i giudizi di ottemperanza e le questioni catastali) sarà possibile delegare tali materie ad un giudice monocratico tributario.

Costui dovrebbe occuparsi altresì della mediazione fra le parti, esperendo una fase antecedente e, in alcuni casi obbligatoria, utile a snellire l’accumulo delle cause nei tribunali tributari.

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Giudici tributari professionali: cosa cambierebbe?

La notizia riguarda un disegno di legge ancora in fase di discussione, non ancora sollevato agli onori della cronaca che, di recente, si sta occupando prevalentemente dei nuovi interventi economici definiti dal Governo.

I cambiamenti avverrebbero su più fronti e se si perseguisse davvero l’intento del giusto processo la magistratura tributaria diventerebbe la quinta essenza della giustizia italiana.

Innanzitutto a modificare sarebbe l’assetto della giurisdizione tributaria. Attualmente le vertenze del fisco sono nelle mani delle Commissioni Tributarie Provinciali e Regionali dislocate su tutto il territorio italiano.

Mentre le prime fungono da giudice di primo grado e le seconde da giudice d’appello, una sezione della Cassazione, la quinta, ha il ruolo di accertare le questioni di legittimità sorte in seguito alle controversie fiscali.

Il nome stesso rende in un certo senso diversi giudici che nella realtà dei fatti non fanno altro che decidere su litisconsorzi specifici, che riguardano in maniera esclusiva la materia tributaria.

Parlare di tribunale equivale a parificare il ruolo dei magistrati (e la loro rilevanza) a prescindere dalla materia di competenza, eguagliando giudici ordinari (ad esempio civili) e giudici fiscali in una unica terminologia.

Secondo, l’accesso alle cariche. Attualmente si può far parte delle commissioni tributarie per il tramite di un concorso per soli titoli, che prevede il possesso della laurea magistrale in Giurisprudenza o della laurea quadriennale in materie economico – aziendali.

A far punteggio sono ulteriori titoli, come master, dottorati di ricerca in materia tributaria e corsi di perfezionamento, mentre il limite di età è di 70 anni.

Se dovesse passare il disegno di legge menzionato, oltre ai suddetti titoli i candidati potranno accedere ad un esame che consentirebbe loro di dimostrare le effettive conoscenze in ambito fiscale.

Terzo il corso di aggiornamento annuale obbligatorio, volto alla riqualificazione dei giudici ed alla loro formazione professionale. Lo step, necessario per tutti i magistrati nominati in qualità di giudice, dovrebbe rivalutare da un punto di vista conoscitivo le competenze di ciascun componente del tribunale tributario, il quale si troverebbe ad essere aggiornato sulle novità nel settore fiscale.

Tutto ciò significherebbe garantire maggiore imparzialità nelle decisioni di sua competenza, oltre ad un aggiornamento continuo in una materia così repentina.

Quarto, la dipendenza da un organo autonomo, quale dovrebbe essere il Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria, affidato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Attualmente le commissioni tributarie dipendono dal MEF in virtù della stretta correlazione fra la materia fiscale (di competenza del Ministero dell’Economica) e l’oggetto delle principali controversie (tasse, tributi, imposte di ogni genere).

Ciò non accade con i giudici ordinari (civile e penale) che dipendono dal Ministero della Giustizia, nè tanto meno con i giudici amministrativi che discendono invece dal Consiglio di Stato.

Quinto, la sezione tributaria presso la Corte di Cassazione. Secondo il disegno di legge, i giudici cassazionisti competenti per la materia tributaria dovrebbero essere 35, divisi in cinque sottosezioni ciascuna delle quali dovrebbe vedersi affidate le questioni:

  • in materia di imposte sui redditi.
  • in materia di imposte su IVA.
  • in materia di altri tributi.
  • in materia di riscossione e rimborsi.

Infine l’estraneità dei magistrati da qualsiasi ingerenza esterna, quale potrebbe essere quella del Ministero delle Finanze (da cui, ricordiamo, dipendono nella gestione e nell’organizzazione) o dall’Agenzia delle Entrate.

Il tutto in virtù dei principi menzionati dall’art. 111 Cost. che parla di giusto processo, contraddittorio, imparzialità e terzietà dei magistrati.

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Commissioni tributarie provinciali e regionali: lo stato attuale

Per capire bene il perché della necessità di tale riforma è giusto avere un quadro chiaro della situazione attuale che coinvolge le commissioni tributarie provinciali e regionali.

Partiamo col dire che il Fisco italiano è forse il più controverso di tutta l’Europa, sia per la complessità della materia, sia per la capillarità con cui le imposte vengono applicate. A questo discorso si aggiunge anche un principio unico nel suo genere, quello secondo cui l’onere probatorio viene invertito a carico del contribuente.

Con tale affermazione il Fisco opera per presunzione ed ogni qualvolta suppone una qualche problematica invia accertamenti e chiede chiarimenti al contribuente presunto evasore.

Le cartelle esattoriali sono inoltre un grosso problema per il nostro Paese, non adeguatamente affrontato con la sostituzione di Equitalia mediante un più (si fa per dire) efficiente ufficio di Agenzia Entrate e Riscossione.

Ogni qualvolta un contribuente riceve una cartella esattoriale è suo diritto appellarsi e, prima ancora, chiedere chiarimenti presso un professionista (un avvocato tributarista, un commercialista, un ragioniere, ecc…).

I ricorsi avverso le cartelle possono essere di vario genere e riguardare non soltanto l’annullamento delle stesse, quanto anche la rettifica degli importi presunti dal Fisco.

A ciò si aggiungono ricorsi per prescrizione, per errori di diversa indole, per documentazioni in possesso del Fisco che gli stessi funzionari non hanno avuto tempo di riguardare. E la cronaca è stracolma di vicende che concernono giudizi pendenti in ambito fiscale che hanno per oggetto controversie di ogni tipologia.

Oltre a ciò si ricorre presso le commissioni tributarie non solo per le vertenze con l’Agenzia delle Entrate (e l’ex Equitalia), ma anche per le liti che insorgono fra contribuente ed un qualsiasi ente impositore,sia esso un ente locale (il Comune), l’ufficio del Demanio, il catasto, ecc…

Questo significa che la materia tributaria è ampia, alla stregua della materia civile o di quella penale, ma a differenza di queste due le commissioni tributarie sono lasciate ”sole” rispetto alla mole di lavoro che ad essi spetta.

I litisconsorzi fiscali hanno a che fare con milioni e milioni di euro e sul giudice grava una responsabilità di non poco conto.

Difficile avere a che fare, tutti i giorni, con una causa di milioni di euro se si trattasse, ad esempio, di giudice amministrativo. E le cause tributarie spesso sono difficili, perché prevedono l’analisi delle prove avanzate dal contribuente che, dovendosi difendere dalle presunzioni del Fisco, ha tutto il diritto di avallare la sua posizione regolare.

Ma il lavoro del giudice tributario è scarsamente remunerato. Si parla di 25 euro a sentenza e di una retribuzione annua (che comprende le indennità) poco superiore a 12 mila euro per un giudice tributario regionale.

I magistrati tributari attualmente non hanno diritto neanche alla pensione, a differenza di un uditore giudiziario (il primo step per diventare magistrato ordinario) che prende 2 mila euro al mese escludendo le indennità.

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Giudici tributari professionali: lo scenario futuro

Se la notizia diventasse realtà e la riforma passasse sia in Camera che in Senato, la situazione che si avrebbe in Italia non potrebbe essere che rivoluzionaria, sotto molteplici aspetti. Partendo proprio dalla competenza.

Passare da un concorso di soli titoli ad un’assunzione per titoli ed esami certificherebbe la competenza e la professionalità del candidato rispetto a quelle che sono le esperienze.

Non basterebbe, quindi, un curriculum costellato di carriere ma si andrebbe a valutare la bravura e la capacità di un potenziale giudice.

Ad essere premiati sarebbero sì i migliori, su tutti i punti di vista, considerato che in Italia spesso il possesso di molti titoli non equivale a competenza e a professionalità.

L’indipendenza da un ministero garantirebbe oggettività nella decisione dei ricorsi, con un occhio obiettivo da parte del giudice.

Il contribuente, già vessato dal comportamento presuntivo del Fisco e dalle troppe leggi in materia tributaria, troverebbe un giusto appiglio per la tutela dei suoi diritti. E sapere di avere di fronte un giudice imparziale, obiettivo e terzo migliorerebbe anche i rapporti fra cittadino ed Agenzia delle Entrate.

Il primo non guarderebbe più con occhio diffidente uno dei principali enti del nostro Paese.

L’equiparazione delle commissioni tributarie ai tradizionali tribunali riqualificherebbe le stesse controversie in materia fiscale.

Le cause pendenti con il fisco avrebbero la stessa importanza di una causa trattata, ad esempio, da un giudice civile, nonostante la materia sia particolare e la categoria dei magistrati considerata speciale.

Infine la remunerazione. Aumentare lo stipendio equivarrebbe a lavorare meglio, in condizioni di eguaglianza rispetto a qualsiasi magistrato. E la prospettiva di una carriera professionale in un ambito così ostico non solo diventerebbe una via preferenziale per molti dottori in legge, quanto un’alternativa alla tradizionale triade magistrato – notaio – avvocato.

Uno studente di giurisprudenza sceglierebbe un percorso di studi mirato fin dai primi anni di corso: il risultato sarà un futuro giudice competente ed esperto nella materia fiscale.

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