Il nocciolo della questione è la violazione di quelli che sono gli elementi base della pubblica amministrazione: l’imparzialità ed il buon andamento.
Venuti meno questi due pilastri ne rimane una forte sfiducia dei cittadini nei confronti dello Stato e la convinzione che per ottenere un diritto o un vantaggio bisogna seguire la strada dell’illegale.
Più di una volta si è cercato di depenalizzare il reato di corruzione con proposte e progetti di legge ad personam.
Qualcuno ci ha provato in ogni modo, qualcun altro ha fatto un passo indietro, sta di fatto che la corruzione, propria ed impropria, rimane ancora un brutto male da estirpare.
Come se non bastasse le condotte poste in essere dagli interessati (sia corruttori che corrotti) sono studiate nei minimi dettagli per aggirare le norme ed uscire puliti da un processo penale ma ciò non basta per scoraggiare un magistrato che intende fare chiarezza nella pubblica amministrazione.
Vediamo insieme quindi tutto quello che devi sapere sulla corruzione impropria.
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Elementi caratteristici della corruzione impropria
La corruzione impropria è una condotta contenuta nella sezione dedicata ai delitti contro la pubblica amministrazione (titolo II), all’interno del codice penale.
In particolare la corruzione è un’ipotesi di reato cosiddetto proprio, intendendo come tale una fattispecie illecita commessa da una persona che riveste particolari qualità.
Come ci insegnano nei corsi di giurisprudenza, esistono tipologie di condotte reputate illecite se poste in essere da individui che, ad esempio, appartengono alle forze dell’ordine, sono pubblici ufficiali o, in questo caso, lavorano per una pubblica amministrazione.
E la corruzione impropria è un reato proprio (si passi il gioco di parole) poiché a compierlo può essere un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio. Quindi un funzionario impiegato in una pubblica amministrazione.
Il reato di corruzione impropria è contemplato dall’art. 318 del cod. pen.. Il delitto si concretizza quando l’agente, nell’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri:
1. riceve indebitamente denaro o altra utilità.
2. accetta la promessa di ricevere indebitamente denaro o altra utilità.
Non importa se il vantaggio (di tipo economico, ma anche attraverso l’ottenimento di un favore – utilità) è per sé stesso o per altre persone.
A caratterizzare la corruzione impropria è il nesso causale fra esercizio di una funzione (tipica del pubblico ufficiale o del funzionario) ed il riconoscimento di un beneficio.
Secondo la dottrina e la giurisprudenza, elemento fondamentale della corruzione impropria (ma, a dire la verità, della corruzione in generale) è la presenza di un pactum sceleris, ovverosia l’esistenza di un contratto illecito fra agente e privato.
Il contratto può essere scritto o orale, ma si configura come tale perché chi è preposto all’esercizio di una certa funzione contratta la sua posizione in cambio di soldi o di altri benefici.
Ed è qui che sovviene l’indebito della corruzione impropria, cioè l’assenza di qualsivoglia giustificazione: il ricevere dei soldi per compiere un atto d’ufficio non ha alcuna motivazione se non il vantaggio personale.
Il bene giuridico tutelato dall’art. 318 è la Pubblica Amministrazione, intesa come apparato che persegue interessi pubblici e collettivi in nome dell’imparzialità e del buon andamento.
Nell’ipotesi della corruzione l’aurea integerrima che circonda la pubblica amministrazione viene meno e la collettività percepisce gli enti pubblici come un marchingegno votato al beneficio personale ed alla facile elusione delle leggi del settore.
Elemento soggettivo del reato è il dolo specifico, vale a dire la volontà e l’intenzionalità di dar vita al pactum sceleris. Da un lato emerge la volontà del pubblico ufficiale di ricevere o accettare la promessa di un’utilità per l’esercizio di una sua funzione.
Dall’altro si sottolinea la volontà del privato che, a sua volta, elargisce o promette denaro o altri tipi di utilità.
Per tale ragione la corruzione impropria è altresì un reato plurisoggettivo poiché per perfezionarsi ha bisogno della presenza e dell’azione di un altro individuo, il privato cittadino, disposto a dare o a promettere utilità in cambio dell’intercessione di un funzionario pubblico. Non a caso ad essere punito non è solo l’impiegato, quanto invece anche il cittadino che soggiace alle stesse pene previste per il funzionario per espressa previsione dell’art. 321 cod. pen..
La pena comminata per chi commette corruzione (quindi, giova ripeterlo, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio) vede un minimo di tre ed un massimo di otto anni. Questi limiti sono stati inaspriti a seguito di una recente riforma, la legge n. 3/2019: la precedente norma prevedeva invece un minimo di un anno ed un massimo di sei.
Cosa cambia in sostanza?
Che se prima era più facile ottenere il minimo della pena, scontata con la condizionale, attualmente i tre anni non consentono di accedere alla sospensione della pena detentiva.
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Corruzione impropria, corruzione propria e concussione: quali sono le differenze?
Con il termine corruzione siamo soliti indicare una qualsiasi condotta posta in essere da qualcuno che lavora per una pubblica amministrazione (o riveste un ruolo importante, il pubblico ufficiale), il quale favorisce ingiustamente un privato cittadino.
E nel corso del tempo abbiamo avuto modo di assistere a tantissime ipotesi di corruzione realizzate nei modi più disparati.
Le abbiamo chiamate mazzette, tangentopoli, favoritismi e raccomandazioni, eppure per il codice penale esistono differenti tipi di corruzione, ciascuna delle quali soggiace ad una propria disciplina.
Innanzitutto la corruzione impropria (ex art. 318 cod. pen.) si differenzia dalla corruzione propria (art. 319 cod. pen.), che si perfeziona quando il pubblico ufficiale (o l’incaricato di pubblico servizio):
- omette – ritarda un atto del suo ufficio.
- ha omesso – ritardato un atto del suo ufficio.
- ha compiuto un atto contrario ai doveri d’ufficio.
Ricevendo in tutti e tre i casi denaro o altre utilità o accettandone semplicemente la promessa.
La corruzione propria avviene quindi in ipotesi specifiche che non hanno a che fare solo con il lavoro del funzionario, quanto con una condotta opposta rispetto alle mansioni attribuite dalla pubblica amministrazione.
Nello specifico la corruzione propria racchiude un’omissione, un ritardo o il compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio, a differenza di un qualsiasi comportamento (legato agli stessi doveri d’ufficio) richiesto invece con la corruzione impropria.
La corruzione, a sua volta, può essere consumata nell’ambito di un processo civile, penale o amministrativo: se lo scopo è quello di favorire o di danneggiare una delle parti processuali, la pena detentiva massima è di dodici anni (art. 319 ter cod. pen.).
Questa aumenta se dalla corruzione ne deriva un’ingiusta condanna, mentre la reclusione potrebbe raggiungere i 20 anni qualora la sentenza applichi immeritatamente la pena dell’ergastolo. In questo caso la corruzione è più circostanziata perché riferita agli atti processuali ed è per la medesima ragione che le pene risultano essere inasprite rispetto a quelle tipiche della corruzione impropria.
Infine la concussione. A partire dalla riforma del 2012, la concussione (art. 317 cod. pen.) è una fattispecie a sé stante rispetto all’induzione indebita (art. 319 quater cod. pen.).
Entrambe si realizzano quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio persuadono qualcuno a dare o a promettere denaro o altre utilità, ma non viene specificato il nesso logico fra la persuasione ed il compimento di un atto d’ufficio.
Emerge invece in entrambe le ipotesi l’abuso della propria qualità o dei poteri, mentre la differenza delle due norme consiste nella costrizione effettiva del soggetto passivo.
Senza addentrarci nella spiegazione della concussione, basta sapere che quest’ultima si differenzia dalla corruzione impropria perché a rilevare è la posizione di preminenza del funzionario che, consapevole del ruolo ricoperto, adotta una condotta di persuasione anche con violenza o con minaccia.
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Corruzione impropria: un po’ di giurisprudenza
Le sentenze della Corte di Cassazione ci servono per capire la linea di confine esistente fra corruzione impropria e corruzione propria, oltre a delineare gli elementi essenziali dei delitti menzionati.
Una recente pronuncia, la sent. n. 26025 del 2018, individua un principio di non poco conto, secondo cui la vendita della funzione pubblica configura il reato di corruzione propria qualora sia connotata da uno o più atti contrari ai doveri d’ufficio dietro l’elargizione indebita di denaro o altre utilità.
La corruzione impropria, al contrario, si realizza quando nella situazione concreta non è noto il finalismo del mercimonio oppure oggetto della condotta è un atto dell’ufficio.
In altre parole la determinatezza dell’atto, contrario a quelle che sono le funzioni tipiche del funzionario, sarebbe corruzione propria, a differenza di atti generali o non determinabili che riguarderebbero invece la corruzione impropria.
Un’altra sentenza, sempre del 2018, esprime un principio assoluto secondo cui si ha sempre corruzione impropria qualora l’agente sia un parlamentare.
La sentenza in questione, la n. 40347, si basa su alcuni articoli della Costituzione, fra cui emerge il n. 67 che espressamente disciplina il divieto di mandato imperativo.
In sostanza un parlamentare è sì un soggetto che riveste particolari qualità nell’ambito dello Stato, ma a mancare sono i doveri imposti da una legge per la carica che ricopre.
Un parlamentare si differenzia da un funzionario pubblico perché quest’ultimo è soggetto ad una serie di doveri definiti peculiarmente da una normativa.
Il parlamentare, invece, esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato, ragion per cui ogni indebita elargizione per l’esercizio delle sue funzioni viene ascritta ai casi di corruzione impropria.
Infine, una sentenza del 2017, la n. 35940, enuncia un qualcosa di ben più importante della semplice differenza fra corruzione impropria e propria sulla base di un atto determinato.
Ogni qualvolta si assiste alla vendita della discrezionalità di una pubblica amministrazione l’ipotesi delittuosa è l’art. 319 cod. pen.: pur compiendo un atto legittimo, soggetto al potere discrezionale riconosciuto al funzionario, la condotta è corruzione propria perché la discrezionalità non viene esercitata per un pubblico interesse.
L’assoggettamento della discrezionalità all’interesse privato di un terzo fa sì che l’atto posto in essere dal funzionario sia contrario ai suoi doveri d’ufficio. È proprio in riferimento a questo principio che nell’introduzione parlavamo di condotte particolari, studiate ad hoc per tentare di aggirare le norme penali.
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Corruzione impropria: il bene giuridico
Quando si parla di bene giuridico il riferimento è al valore che una norma del codice penale protegge da condotte delittuose.
L’art. 318 cod. pen. (ma anche il 319) è la pubblica amministrazione intesa come apparato devoto alla realizzazione di interessi pubblici.
L’amministrazione è caratterizzata da una serie di poteri che si basano sull’imparzialità e sulla discrezionalità dei suoi funzionari.
Tali poteri devono essere esercitati non in virtù di un interesse privato, ma perseguendo diverse tipologie di interesse che accomunano una collettività di persone.
Una pubblica amministrazione funziona correttamente quando i suoi funzionari lavorano in maniera obiettiva e imparziale, astenendosi dal prediligere interessi privati ma prendendo a riferimento gli interessi cosiddetti legittimi.
I funzionari che rispettano i loro doveri e perseguono interessi non privati non fanno altro che dare adito a quello che si chiama buon andamento della pubblica amministrazione.
Si tratta di un principio contenuto nell’art. 97 della Costituzione secondo cui i pubblici uffici sono organizzati in maniera tale da garantirne il corretto funzionamento. E un’amministrazione gode di una gerarchia, al cui vertice c’è l’organo politico che individua gli interessi pubblici da realizzare, mentre alla basa una serie di funzionari lavorano affinché lo stesso interesse sia raggiunto senza favoreggiamenti.
Avvantaggiare ingiustamente qualcuno per trarre un benefit (che sia esso una somma di denaro, un favore o qualsiasi tipo di utilità) significa inceppare la macchina amministrativa creando dei veri e propri malfunzionamenti.
Il malfunzionamento consiste nell’idea, del privato cittadino, di raggiungere i propri obiettivi solo se si posseggono le risorse giuste, quindi i migliori agganci, un gruzzoletto da parte, l’astuzia di persuadere il funzionario di turno.
Il cittadino che non possiede nulla di tutto ciò fomenta malumori e si considera insoddisfatto dal funzionamento della sua amministrazione. Costui inizierà a pensare che non esiste imparzialità, non esiste obiettività e che per emergere nella società è necessario essere furbi e trovare l’aggancio giusto.
Se un’intera popolazione nutrisse il medesimo malumore, l’amministrazione non avrebbe modo di esistere, perché diventerebbe un qualcosa nelle mani del più scaltro e di chi possiede le risorse migliori.
Per tale ragione il bene giuridico della Pubblica Amministrazione è tutelato in maniera pregnante, per far sì che il cittadino abbia una visione integerrima dello Stato e dei suoi organi.
Prevedere diverse condotte di corruzione non solo tutela il cittadino da un’amministrazione arbitraria, ma lo disincentiva a commettere atti di corruzione con la prospettiva di pene severe tanto quanto quelle previste per il funzionario corrotto.