A livello normativo, l’obbligo de quo è previsto dal ddl Concorrenza, peraltro già approvato dal Senato con emendamenti al testo originario. Entrerà in vigore dopo la approvazione definitiva da parte della Camera dei Deputati.
Tale ddl. reca modifiche all’art. 13, L. 247/2012 (Nuova Legge Professionale Forense) ponendo l’obbligo per gli avvocati non solo di informare il cliente circa il grado di complessità dell’incarico, ma altresì di redigere preventivo scritto, anche in mancanza di espressa richiesta di parte; esso deve riguardare il costo complessivo della pratica e specificare le singole voci (spese, oneri connessi e comunque prevedibili, compensi), nell’ottica di favorire una maggiore trasparenza nel rapporto con la clientela.
Tuttavia, numerose rappresentanze della Avvocatura (tra cui l’AIGA) non hanno mancato di evidenziare come detto rapporto sia connotato, tradizionalmente, dal vincolo fiduciario e come quest’ultimo venga sostanzialmente bypassato dal criterio meramente economico della offerta più vantaggiosa.
Inosservanza del dovere
Stante quanto procede, il professionista terrà una condotta inadempiente sia qualora predisponga un preventivo non dettagliato, sia laddove provveda ad informare il cliente del costo complessivo senza adottare le forme alternativamente previste (cartacea o digitale). A sostegno di ciò sia la formulazione della disposizione normativa, sia la giurisprudenza intervenuta.
La Corte di Cassazione, Sezione II Civile, con ordinanza n. 16214/2017 ha infatti statuito che il riconoscimento al legale di un palmario deve risultare da accordo scritto, nonché essere dimostrato in giudizio, così come i profili di particolare complessità nell’attività svolta (da escludersi peraltro nelle controversie di risarcimento danni da sinistro stradale, come nel caso di specie). In difetto, il professionista non avrà alcun diritto a ritenere quanto percepito ed alcuna rilevanza in tal senso assumono i versamenti effettuati dal cliente, “…piuttosto riconducibile all’esigenza di non incorrere nel rischio di pregiudicare l’efficacia della prestazione professionale”.
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Il patto quota lite
Infatti, la normativa deontologica forense sancisce la nullità del cd. patto di quota lite, ossia che prevedono come compenso in tutto o in parte una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa, ai sensi dell’art. 25, 2 comma, Codice Deontologico Forense, il quale prevede la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione forense per un periodo da due a sei mesi.
La Suprema Corte ha escluso la nullità di scrittura privata redatta dopo la conclusione del giudizio, in quanto non integrante un cd. “patto di quota lite”, (in tal senso: Cass., Sez. III Civ, 2169/2016).
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Conseguenze
A seguito del mancato adempimento da parte del professionista dell’obbligo de quo, egli non ha diritto di trattenere le somme incassate: ogni corresponsione di denaro in suo favore da parte del cliente costituisce indebito oggettivo ai sensi dell’art. 2033 c.c., la cui ripetizione è soggetta a prescrizione ordinaria decennale e decorre non dalla data dell’ultimo pagamento, bensì dal giorno di cessazione della prestazione professionale, in ragione del carattere unitario della stessa.
Solo con il definitivo venire meno del rapporto professionale si concretizza la configurazione di tutti gli elementi costitutivi dell’indebito, in quanto solo da tale momento è attuale l’interesse della parta alla ripetizione della somma indebitamente erogata.
Ai sensi dell’art. 20 cpc, sarà competente il giudice del domicilio del creditore qualora si tratti obbligazione liquida (in tal senso: Cass, Sez. Un. Civ, sent. n. 17989/2016), avente ad oggetto una somma determinata, ovvero comunque quantificabile in base a meri calcoli aritmetici.
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Domande e risposte
- In caso di inottemperanza alle previsioni di Legge e della Circolare n. 11/2017 del CNF, al di là di un mero “Avvertimento” del CNF non v’è sanzione disciplinare né civile?” [28/12/2017]La circolare del CNF non ha natura cogente per gli iscritti all’albo, tuttavia discostarsene potrebbe implicare un illecito deontologico e quindi sanzione disciplinare perché ad esempio in materia di antiriciclaggio non si procede adeguatamente alla verifica della clientela.In pratica non è che la circolare, da sola, può implicare sanzioni, ma il comportamento difforme può integrare un illecito già previsto dalla normativa disciplinare.