Quanti avvocati ci sono in Italia?

La professione di avvocato in Italia è molto gettonata e le università con laurea in legge e giurisprudenza rilevano un incremento di iscrizioni tangibile e numericamente importante. Ma cosa attrae così tanto di questa professione?

Forse il senso di giustizia che spesso nel mondo di oggi viene meno in ogni campo, oppure la volontà di sapersi difendere da soli in caso di necessità, il pensiero speranzoso di un lauto compenso, la voglia di mettersi in discussione mediante una continua sfida verso la legge o verso una controparte. Sono sicuramente differenti le motivazioni che spingono gli italiani a diventare avvocati, ma ciò che conta sono i numeri veramente elevati, capaci di creare, in realtà, un aumento della concorrenza sul mercato.

Il numero degli avvocati in Italia

Un’analisi più approfondita del numero degli avvocati italiani obbliga ad allargare la visione anche a livello geografico. La prevalenza degli esercitanti la professione avvocatizia è nel Meridione, con Campania, Lazio, Sicilia e Puglia a prevalere su altre regioni. In Campania vi sono infatti circa 34 mila avvocati, 33 mila nel Lazio, 23 mila in Sicilia e qualcuno meno in Puglia.

Il Nord Italia invece ne conta 32 mila in Lombardia e 14 mila circa in Emilia Romagna.

Il nostro Paese è terzo a livello europeo per concentrazione di avvocati, ossia per numero di avvocati ogni abitante. Mediamente l’Italia conta 4 avvocati ogni 1000 abitanti, con la Calabria che detiene il numero maggiore di avvocati calcolati proporzionalmente in base alla popolazione regionale. Nella punta dello Stivale vi sono 7 avvocati ogni migliaio di abitanti e subito dietro viene il tacco, con 6 avvocati ogni 1000 pugliesi.

L’elevata crescita della professione ha fatto in modo che aumentasse la concorrenza e quindi diminuissero i redditi: di ciò si ha conferma analizzando i dati statistici sui compensi, i quali oggi si attestano su valori mediamente inferiori rispetto al passato.

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Statistiche avvocati in Italia

Per meglio esprimere la crescita esponenziale che tale professione ha registrato nella nostra Penisola, basti pensare che a metà Anni Ottanta gli avvocati iscritti all’albo erano 48 mila circa, mentre a fine 2015 hanno superato quota 237 mila. L’incremento indicativo è pari al 500%, a fronte di un incremento della popolazione residente che appare comunque minimo e quantificabile in circa 4 milioni di persone.

Numericamente la divisione tra i sessi maschile e femminile è in pratica quasi equa: se negli Anni Ottanta la percentuale di avvocati donne non raggiungeva il 10%, ora sono il 48% circa, con il 52% maschile. Importante è anche il dato relativo all’età media, che è di 42 anni per le donne e 46 anni per gli uomini, anche se la stragrande maggioranza degli avvocati in Italia occupa la fascia di età compresa tra i 30 e i 69 anni.

Numero avvocati in calo?

Se i numeri indicano che in Italia vi sono il triplo di avvocati rispetto al resto d’Europa, subito verrebbe da pensare ad una popolazione che beneficia di una maggiore tutela, cosa che in realtà non è.

Molte cause comportano un intasamento di tribunali e un aumento smisurato della burocrazia che altro non fa se non allungare tempi, pratiche e sentenze.

La maggior parte sono cause civili e molte di queste riguardano controversie stradali, inerenti sinistri o questioni con assicurazioni.

Andando ad analizzare in modo approfondito i risultati esposti dalla Cassa Forense, emerge una correlazione diretta tra cause e numero di avvocati. Anche se ciò può sembrare paradossale, risulta come se il numero delle cause fosse la conseguenza dell’elevato numero di avvocati presente in una determinata area geografica.

La nostra Penisola ha raggiunto in assoluto il più elevato numero di cause e risulta essere la nazione più lenta a livello giuridico rispetto ad altri Paesi d’Europa. Aggiungendo a ciò la grande esplosione della propensione alla professione di avvocato, ecco che la “macchina” rallenta ancor di più.

L’elevato numero di avvocati presenti sul territorio dovrebbe stimolare una concorrenza a beneficio delle tariffe, anche se tale processo non sempre si verifica.

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Come è cambiata la professione di avvocato nel tempo

L’avvocato è una professione intellettuale come era definita dall’ex art. 2229 del Codice Civile e bastava questo per richiamare alla mente un ruolo riconosciuto che poneva l’esercitante in una posizione di assoluto prestigio. Oggi forse queste caratteristiche sono andate un po’ perdute anche per l’eccessivo numero di avvocati che riempie il territorio nazionale. Quando si dispone in abbondanza di un bene si rischia di perderne il valore e farne calare la qualità percepita.

Una volta l’avvocato era colui il quale doveva ascoltare e consigliare, oggi invece la sua figura è diventata maggiormente orientata al successo e alla ricchezza.

Quello che dovrebbe rimanere invariato è l’essenza dell’avvocato, ovvero l’esercizio di una professione di pace che vuole aiutare l’uomo a tutelare i suoi interessi e i suoi diritti. Un buon avvocato è colui che sa ascoltare, ragionare, razionalizzare e mediare in maniera totalmente disinteressata. Il surplus di avvocati in Italia spesso tende a portare conseguenze negative sulla categoria, in quanto non è sempre facile trovare professionisti in grado di mostrarsi collaborativi nel fare l’interesse altrui senza pensare al proprio. Soprattutto, l’avvocato deve essere una persona retta e onesta, che persegue un’etica morale e civile. Questa forse è la principale differenza tra gli avvocati di una volta e quelli di oggi.

Non è nemmeno corretto generalizzare il concetto, ma quello che è certo è che l’alto numero di esercenti la professione forense ha ridotto il livello qualitativo complessivo della classe. Vi sono infatti professionisti che ambiscono esclusivamente al guadagno e al successo ad ogni costo, cercando di inseguire scalate sociali a posizioni di rilievo, dimenticando i valori che dovrebbero guidare la professione.

Nel tempo si sono sviluppate ulteriori aree di azione e questo ha portato a maggiori specializzazioni rispetto al passato. Oggi c’è l’avvocato divorzista, quello specializzato nel redimere cause matrimoniali, c’è l’avvocato abile ed esperto nell’affrontare cause condominiali, oppure colui il quale è più ferrato in materia stradale (incidenti, controversie con assicurazioni, ecc.). Un tempo non si aveva una divisione così netta.

L’ambizione che porta così tante persone a iscriversi agli studi per diventare avvocato, ha in qualche modo costretto le istituzioni a diversificare i corsi di apprendimento, anche per poter dare un senso al boom di iscrizioni.

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Percorso studi avvocati

Il percorso per diventare avvocati parte dall’università, per arrivare poi al praticantato, passare all’esame di Stato e infine all‘iscrizione all’albo per l’abilitazione all’esercizio della professione.

Iscrivendosi ad una facoltà di matrice giuridica è possibile scegliere il piano di studi più idoneo sulla base delle proprie ambizioni e “passioni”. Già in questa fase vi è una scrematura che ha il compito di dividere il gran numero di frequentanti.

Il corso si sviluppa prevalentemente in maniera teorica e quindi è richiesta una buona propensione allo studio fin dalle prime fasi universitarie. Se da un lato questa impronta forma il futuro avvocato, vi è innegabilmente un deficit pratico che questo dovrà in seguito scontare. Il praticantato serve proprio per aiutare lo studente o il neo laureato a trasformare in pratica ciò che egli ha studiato in precedenza. Questo però può comportare l’iscrizione a ulteriori corsi di specializzazione, disperdendo ancora una volta il numero di futuri esercitanti la professione forense.

Solitamente il neo laureato si affianca ad uno studio legale specializzato nel campo prescelto e inizia l’attività di praticantato per almeno 18 mesi. Una volta trascorsi 12 mesi è possibile per il praticante richiedere l’abilitazione per poter seguire cause in proprio, ottenendo la nomina di “mezzo avvocato” (ma sempre per conto dello studio presso cui opera). Ovviamente questo avviene dietro compenso stabilito dallo studio legale presso il quale il futuro avvocato è impiegato.

Quando sono trascorsi i mesi stabiliti dalla legge, per il praticante è possibile svolgere l’esame di Stato per poter esercitare poi in propria autonomia e iscriversi all’albo.

Per apporre un maggior filtro, l’esame è particolarmente ostico e consta in tre prove scritte e una prova orale. La scala di valutazione è stata variata e resa più restrittiva, richiedendo una valutazione minima per ciascuna prova scritta per esser poi ammessi alla fase orale. Così facendo si vuole effettuare un’ulteriore selezione atta a far emergere soltanto le persone più meritevoli, in una nazione in cui già vi sono avvocati in eccesso.