Like su Facebook? Potrebbe diventare diffamazione

Un like su Facebook è un’attività che si fa con estrema facilità, con una tale leggerezza da non pensare alle conseguenze che, alcune volte, possono derivarne.

Un semplice «mi piace» sul post di un amico, che offende e accusa gli stranieri presenti nel nostro Paese, potrebbe assumere un significato razzista e discriminatorio nei confronti degli immigrati presenti tra i nostri contatti.

Quante volte abbiamo messo dei like a commenti che, di fatto, non abbiamo letto oppure abbiamo letto con superficialità?

Ma fino a dove possono spingersi le conseguenze legali per un like su Facebook su un post offensivo? Cosa si rischia a partecipare a una discussione, iniziata da altri, dal contenuto dichiaratamente diffamante?

Vediamo nella pratica cosa può accedere. Questa è la notizia: “Sette dipendenti comunali potrebbero essere condannati per diffamazione”.

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Diffamazione a mezzo “like”

Il primo Novembre, infatti, è iniziato il processo che li vede coinvolti per aver messo un “like” ad un post facebook considerato a sua volta offensivo. Il fatto scatenante, è avvenuto nel 2014 quando sul famoso social network appare un commento poco piacevole nei confronti dell’allora Primo Cittadino del Comune di San Pietro Vernotico, in provincia di Brindisi e di alcuni dipendenti accusati di essere fannulloni ed assenteisti.

Il procuratore aggiunto della procura Brindisina, ha configurato l’ipotesi di diffamazione aggravata non solo nei confronti dell’autore che ha realizzato il post, ma anche verso i lettori che, apprezzando il commento, hanno cliccato il “like” al post.

Tale caso, primo in Italia, desta molte perplessità. Il Prof. Fulvio Sarzana di Sant’Ippolito ha affermato che per la sussistenza di un reato è necessario il dolo, volontà specifica che, in un gesto come quello del “like”, manca. Di parere contrario, invece, è stato il Tribunale di Zurigo che, per la prima volta, ha condannato un soggetto al pagamento di quattordicimila franchi per aver cliccato sul famoso pollice all’insù. Il Tribunale, nella sua decisione, ha sostenuto che la condanna per diffamazione sussiste quando la dichiarazione del gradimento riguarda affermazioni offensive e contribuisce a diffondere accuse non dimostrate.

Vedremo quale sarà il destino dei sette dipendenti comunali.

Intanto la recente notizia, apparsa sui quotidiani nazionali, della prima condanna per diffamazione emessa in Svizzera a causa di un like su Facebook, ha riacceso il problema delle conseguenze per i comportamenti “virtuali” sui social network, conseguenze che vanno dai semplici illeciti civili (il licenziamento del dipendente che impreca contro l’azienda) a quelli penali (il reato di diffamazione è il più frequente).

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In Italia si può essere incriminati per un like su Facebook?

Con sentenza n. 3981/2016, la Cassazione penale ha assolto dal reato di diffamazione aggravata un utente del noto social network “Facebook” che aveva “postato” un commento ritenuto offensivo della reputazione di un collega.

Secondo la Corte non integra il reato di diffamazione la condotta di chi mediante un post su un social network esprima, con frasi non offensive né ingiuriose, il suo apprezzamento e la sua condivisione con riferimento ad espressioni e critiche diffamatorie utilizzate in precedenza da altri, e condivise via internet.

I difensori dell’imputato denunciavano l’errata applicazione della legge penale in ordine all’attribuzione della portata offensiva del messaggio, ritenendo il contenuto del “post” di per sé inoffensivo: “spero solo di vivere abbastanza x godermi il giorno ke andrà in pensione e prenderlo a bastonate.

Particolare interesse rivestono le considerazioni relative alla portata lesiva della frase “postata”: nei tre gradi di giudizio vi é stata grande difformità d’interpretazione.

In particolare, secondo i giudici della Corte di Appello, sebbene il commento fosse di per sé inoffensivo, avrebbe mutuato la sua carica denigratoria dall’implicita adesione al contenuto dei “post” precedenti, caricati da altri utenti e realmente diffamatori, rappresentando così “una volontaria adesione e consapevole condivisione” delle espressioni offensive precedentemente pubblicate.

La Suprema Corte, recuperando parte delle argomentazioni del primo giudice, evidenzia invece l’illogicità della motivazione della Corte di Appello: se infatti, il reato di diffamazione circoscrive la condotta di colui che specificatamente “comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione”non può essere sanzionata una condotta di per sé inoffensiva, per il solo processo all’inverso della ricerca di un’indiretta, implicita e non provata, volontà adesiva a condotte realmente illecite tenute da terzi.

In questi termini, appare irrilevante che l’imputato condividesse o meno i presunti insulti che altri avrebbero pubblicato prima di lui, laddove, il commento susseguente, non necessariamente deve considerarsi quale atto di adesione integrale a quanto sopra scritto.

La decisione della Cassazione in esame conferma, dunque, un discrimine nell’individuazione della colpevolezza di chi si limita a condividere indirettamente le ostilità di terzi, senza tuttavia utilizzare espressioni dall’intrinseca portata offensiva. Sembra quindi prevalere l’orientamento (già condiviso in Cass. penale, Sezione V, 14 aprile 2015, n. 31669; Cass. penale, Sezione V, 9 marzo 2015, n. 18170) che attribuisce particolare importanza alla libertà di manifestazione del pensiero, così come alla tutela del diritto di critica e di cronaca.

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Ma cos’è il “like” su Facebook?

Nella società digitale, il mi piace può essere tutto o niente. Interessante, a tal proposito, è l’articolo pubblicato sul sito huffingtonpost.it, dal titolo “Le 12 sfumature del mi piace su facebook”, ove si elencano 12 modi differenti per identificare un “mi piace”. Lo stesso, secondo l’articolo, potrebbe essere utilizzato per finalità politiche, arriviste, subdole o di scambio.

È opportuno considerare, inoltre, che il like assume significati differenti anche a seconda del social network utilizzato. In Facebook si utilizza, generalmente, per apprezzare ciò che è scritto in un post. Su LinkedIn, invece, il like assume il significato di “consiglia”, senza specificare se il consiglio sia per apprezzare o denigrare il contenuto postato.

Per comprendere meglio il fenomeno, mi piace rapportare il caso digitale, ad uno di vita vissuta. Immaginiamo di assistere ad una diffamazione pubblica di un soggetto per strada e, invece di disinteressarcene, iniziamo a ridere oppure applaudire alla scena. Sareste stati rinviati a giudizio con l’accusa per diffamazione? Lascio a voi le valutazioni…

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