Il testamento biologico


Tra chi tutela la vita ad ogni costo e chi si batte per la difesa della dignità del malato, oggi il testamento biologico è a tutti gli effetti una legge, che può essere applicata soltanto a specifiche condizioni

Sono passati poco più di sette mesi dalla sua approvazione, ma il testamento biologico (noto anche come Biotestamento) rimane comunque una questione etica.

Tra chi tutela la vita ad ogni costo e chi si batte per la difesa della dignità del malato, oggi il testamento biologico è a tutti gli effetti una legge, che può essere applicata soltanto a specifiche condizioni.

Nonostante rappresenti un passo avanti per la società odierna, rimane aperto il dibattimento sull'obiezione di coscienza.

Ma a livello giuridico, cosa dice il testamento biologico?

Il testamento biologico in pillole

Il testamento biologico in pillole

Il testamento biologico inizia con una frase degna di nota.

In linea di massima esso dice che la legge sul Biotestamento, nel rispetto dei principi dei diritti dell'uomo (quindi libertà personale e diritto alla salute) contenuti nella Costituzione, e dei diritti riconosciuti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (nello specifico il diritto alla dignità umana, il diritto alla vita e all'integrità della persona), tutela principalmente il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione della persona.

La legge stabilisce inoltre che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito senza il consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti.

Su questo articolo ruota tutta la normativa in riferimento al testamento biologico, perché è proprio il consenso del paziente ad essere il punto fondamentale su cui poggia la ratio della legge.

Strutturalmente essa è formata da otto articoli, ma i più importanti sono i primi quattro poiché riguardano il consenso informato e le disposizioni anticipate di trattamento, ovverosia le DAT.

L'art. 3 è dedicato esclusivamente al consenso prestato dal minore e dall'incapace, mentre il quinto concerne la pianificazione condivisa delle cure: un buon modo per programmare il trattamento sanitario che vede la stretta collaborazione di medico e paziente.

Questa collaborazione fra medico / paziente è suggellata fin dai primi comma dell'art. 1 della legge sul Biotestamento.

In essi è ampiamente riconosciuta la relazione di fiducia, intesa come l'incontro tra l’autonomia decisionale del paziente e la competenza, l’autonomia professionale e la responsabilità del medico.

Nella relazione medico / paziente è ammesso il coinvolgimento dei familiari, ed è proprio questa una delle rivoluzioni del Biotestamento: il riconoscimento come familiari gli uniti civilmente, i conviventi e le persone di fiducia designate dal malato.

Il testamento biologico, però, sembra prendere con le pinze il diritto del malato di decidere sulle terapie.

Lo dimostrano diverse terminologie utilizzate dal legislatore, ma anche l'iter complesso e consapevole che il paziente deve intraprendere prima di prestare il consenso informato.

Si parte dalla necessità di prestare il consenso anche per l'accertamento diagnostico, alla possibilità di revocare il proprio consenso in qualsiasi momento, fino a giungere alla previsione di adeguate terapie del dolore anche in presenza di un comportamento ostativo da parte del malato. 

I DAT, le disposizioni anticipate di trattamento contenute nell'art. 4, consentono alla persona di decidere in futuro circa eventuali trattamenti sanitari in previsione di malattie dall'esito infausto.

L'aleatorietà dell'evento obbliga a seguire una procedura specifica che privilegia l'atto pubblico o la scrittura privata autenticata per la validità probatoria del consenso.

La documentazione, consegnata presso l'ufficio di stato civile del comune di residenza, consentirà l'annotazione della propria decisione in apposito registro.

Rinnovo e revoca del consenso prestato con i DAT sono sempre ammissibili, fino all'ultimo momento: il tutto potrà avvenire con le stesse modalità adoperate per le disposizioni.

Che sia consenso prestato durante la cura, o disposizioni date in anticipo in caso di diagnosi infausta, il testamento biologico rappresenta un buon punto di partenza per la tutela della dignità del malato.

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Il testamento biologico e il consenso informato

Il fulcro della legge sul testamento biologico è il consenso informato, disciplinato proprio nell'art.1.

Quasi come se si volesse focalizzare l'attenzione sul paziente, scegliere di dedicare il primo articolo alla libertà del malato circa le terapie somministrate non è casuale.

Perché per consenso informato si intende la consapevolezza di decidere sul proprio stato di salute una volta venuti a conoscenza delle proprie condizioni, della diagnosi, della prognosi, dei benefici e dei rischi legati agli accertamenti diagnostici, dei trattamenti sanitari, delle alternative e delle conseguenze dell’eventuale rifiuto prestato dal malato.

Costui può, di fatto, rifiutare non solo le terapie, ma anche di ricevere informazioni avendo l'opportunità di designare una persona di fiducia che esprimerà il consenso in sua vece.

L'art. 1 non prescrive forme specifiche per prestare il consenso: è possibile adoperare qualsiasi strumento consono alle condizioni del paziente. Ciò che conta è che il consenso venga documentato in forma scritta o mediante videoregistrazione ed inserito nella cartella clinica del paziente.

Il consenso informato si configura quindi come ''diritto di rifiuto'' che può riguardare in tutto o in parte sia l'accertamento diagnostico, sia i trattamenti sanitari.

Il rifiuto non è definitivo, poiché al paziente viene riconosciuta la possibilità di revocarlo in qualsiasi momento.

Il diritto al rifiuto viene esercitato da persona capace di agire: si badi bene alla scelta delle locuzioni.

Il legislatore non ha parlato di ''capacità di intendere e di volere'', nè di ''capacità giuridica'', ma ha voluto riconoscere il diritto ai maggiorenni.

Infatti, un articolo della medesima legge (l'art. 3) viene interamente dedicato al consenso prestato da minori ed incapaci individuando i soggetti responsabili deputati all'esternazione del consenso.

L'art. 1 prosegue specificando cosa si intende per ''trattamenti sanitari'': volendo semplificare, la nutrizione artificiale e l’idratazione artificiale rientrano nel novero dei trattamenti sanitari.

La rinuncia a questi ultimi da parte del paziente deve essere una scelta adeguatamente supportata dal medico, il quale ha il dovere di informare sulle possibili conseguenze in caso di interruzione delle terapie. Particolare caso potrebbe prospettarsi nelle situazioni di emergenza.

In tali circostanze la legge sul testamento biologico garantisce al paziente le cure adeguate che saranno somministrate nel rispetto della propria volontà se questa può essere espressa. 

Rinunciare ai trattamenti sanitari non significa opporsi anche alle cure palliative o alla terapia del dolore.

La legge sul testamento biologico, all'art. 2, è molto chiara quando attribuisce al medico il dovere di adoperarsi per alleviare le sofferenze del paziente anche in caso di rifiuto ai trattamenti.

Al medico, invece, è fatto obbligo di astenersi dalla somministrazione irragionevole di cure o terapie inutili in tutti quei casi in cui la prognosi della malattia abbia esito infausto a breve termine.

Il riferimento è a quelle situazioni in cui il malato si trova sul punto di morte, ma in presenza di sofferenze refrattarie (ossia resistenti), il medico può somministrate cure palliative e terapie del dolore sempre su consenso del paziente.

Il testamento biologico: le disposizioni anticipate di trattamento e la pianificazione condivisa delle cure

Il testamento biologico: le disposizioni anticipate di trattamento e la pianificazione condivisa delle cure

Un'ulteriore novità introdotta dalla legge sul testamento biologico riguarda le DAT, le Disposizioni Anticipate di Trattamento. E sono proprio le DAT ad essere considerabili alla stregua di un testamento all'interno del quale vengono individuate le ultime volontà del paziente.

A differenza del consenso informato, le DAT vengono predisposte prima, in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi.

Il consenso viene prestato nel momento delle cure, dei trattamenti, delle terapie.

Le DAT sono volontà preannunciate, disposte dalla persona fisica nell'eventualità di una malattia che avrà come esito i trattamenti sanitari.

Anche in questo caso, come nel consenso informato, all'interessato viene richiesto di informarsi adeguatamente per esprimere con coscienza e consapevolezza la propria volontà.

All'interno delle DAT è necessario indicare un fiduciario il cui compito sarà quello di rappresentare il malato nelle relazioni con il medico.

Le DAT, per essere efficaci, devono essere redatte per atto pubblico o scrittura privata autenticata, il ché vede la compartecipazione di un pubblico ufficiale nella stesura delle disposizioni.

È possibile però avvalersi di una semplice scrittura privata, ma la validità delle DAT in questo caso sarà correlata alla consegna del documento presso l'ufficio di stato civile dove ha la residenza il disponente. Alla consegna deve provvedervi lo stesso disponente.

All'atto pubblico ed alla scrittura privata è possibile sostituire una videoregistrazione se le condizioni del paziente impediscono la scelta della forma scritta.

Le DAT sono revocabili in qualsiasi momento, ma in casi di urgenza il medico può accertare la volontà di revocare le DAT anche verbalmente, in presenza di due testimoni.

La pianificazione condivisa delle cure è un procedimento riconosciuto dalla legge sul Biotestamento in riferimento ai trattamenti sanitari da eseguire sul paziente nel futuro.

La pianificazione permette al medico ed all'interessato di stabilire fin dall'inizio le cure e le terapie da somministrare nel momento in cui diventi difficile per il paziente esprimere la propria volontà.

La pianificazione condivisa delle cure subentra infatti nei casi in cui ci sia la concreta possibilità che una patologia evolva nel corso del tempo, diventando cronica ed invalidante con esito infausto per il paziente.

La pianificazione, così come definita dal paziente e dal medico, deve essere rispettata da quest'ultimo e dall'equipe sanitaria, soprattutto qualora subentri l'incapacità di intendere e di volere del malato.

La pianificazione può essere adeguata e modificata con l'evolversi della malattia, individuando le terapie migliori a favore del paziente.

L'adeguamento può essere richiesto direttamente da quest'ultimo, oppure suggerito dal medico.

Anche in questo caso il paziente e, con il suo consenso, i familiari (fra cui anche la parte dell'unione civile o il convivente) devono essere adeguatamente e preventivamente informati sulla patologia e sulla sua evoluzione, sulla qualità della vita, sulle cure (comprese quelle palliative) e sulle possibilità cliniche.

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Il testamento biologico: fra dignità del paziente ed obiezione di coscienza

La legge sul testamento biologico è il frutto di un iter legislativo tortuoso che è giunto con la proclamazione del diritto alla dignità riconosciuto al malato.

Pur prendendo a riferimento il diritto alla vita ed il diritto alla salute come pilastri normativi, la legge sul Biotestamento pone l'accento sulla dignità del paziente e sulla sua volontà di dire no all'accanimento terapeutico.

Ma trattandosi di una normativa che ha a che fare con la vita di una persona, in tanti hanno sollevato la questione sull'obiezione di coscienza, ovverosia sul diritto di disapplicare una legge ritenuta ingiusta.

Secondo alcuni, il testamento biologico così come impostato attualmente (rifiuto delle terapie per dar corso alla malattia, e quindi alla morte) sembra essere una misura inadeguata a tutelare le volontà del paziente.

La disumanità starebbe proprio nell'interrompere i trattamenti sanitari per ''lasciar morire'' il paziente senza alimentazione e senza idratazione.

Ed essendo disumana, molti medici dichiarano di voler fare affidamento sul diritto all'obiezione di coscienza, disattendendo le disposizioni della legge sultestamento biologico.

In realtà la normativa parla chiaro e all'art. 1 comma 9 dice che ogni struttura sanitaria pubblica o privata garantisce con proprie modalità organizzative la piena e corretta attuazione dei princìpi sul testamento biologico, assicurando sempre e comunque l’informazione necessaria ai pazienti e l’adeguata formazione del personale.

Ed aggiunge, al comma 6, che il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente e, in conseguenza di ciò, è esente da responsabilità civile o penale.

Che se l'obiezione di coscienza fosse una questione di responsabilità, la stessa legge deresponsabilizza il personale sanitario qualora questi si attenga alla volontà del malato.

Ma se fosse questione di etica, di religione, di moralità, prevarrebbe l'obiezione di coscienza?

Molti giornalisti hanno accolto la posizione assunta dai medici cattolici che, fin dalla redazione del testo di legge sul testamento biologico, hanno esternato la ferma volontà di opporsi alla normativa.

La ratio è la tutela della vita, in qualsiasi forma essa sia, e la necessità di evitare trattamenti disumani (come appunto quello di rifiutare la nutrizione e l'idratazione artificiale) che vadano ad accelerare la morte del paziente.

In realtà siamo dinnanzi ad un'antinomia, questa volta dovuta a due principi contenuti implicitamente nella Costituzione.

L'obiezione di coscienza, ad esempio, è annoverato fra gli artt. 2, 19 e 21 e potrebbe avere la medesima importanza rispetto al diritto alla vita, di cui agli artt. 2 e 32 della Costituzione.

A questo punto si auspica un bilanciamento per dare maggiore importanza all'uno o all'altro principio.

Da un lato la legge sul testamento biologico invita più volte medici e personale sanitario ad attenersi alle volontà espresse dal paziente.

Dall'altro riconosce comunque al paziente la possibilità di revocare il proprio consenso, fino all'ultimo istante e garantisce le cure palliative e la terapia del dolore per alleviare le sofferenze.

Matteo Migliore - Fondatore di LEGALDESK

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