Divorzio: il giudice fa decidere il figlio


Il tribunale di Firenze nella sentenza 2945 del 2018 segna un'importante svolta, infatti ascolta il minore e su sua indicazione decide

Sempre più coppie scoppiano, complice l'introduzione di norme per il divorzio breve e la riforma del diritto di famiglia inerente l'affido dei figli, sono molto più numerose rispetto al passato le coppie che decidono di separarsi e divorziare.

Il tutto sempre più spesso senza influenzare negativamente lo sviluppo psico-fisico della prole.

A questo proposito il tribunale di Firenze ha emanato una sentenza destinata a fare scuola, perché a decidere è stato il figlio.

Evoluzione del divorzio in Italia

Evoluzione del divorzio in Italia

L'anno 2015 con l'introduzione delle nuove norme sul divorzio ha visto un forte incremento di divorzi. Si è passati da 52.355 registrati nel 2014 a 82.469 casi del 2015 (ultimi dati disponibili), ad aumentare però sono anche i matrimoni.

A generare questo aumento da una parte vi è la semplificazione delle procedure per la separazione che tendono a favorire un approccio consensuale che limita la litigiosità tra le parti e dall'altro lato vi è una maggiore protezione degli interessi dei minori introdotti con la legge 54 del 2006.

La legge in oggetto rispetto al passato prevede un certo stravolgimento, infatti in passato il figlio veniva affidato ad un genitore, solitamente la madre, mentre l'altro spesso veniva messo in secondo piano ed ostacolato nei rapporti con i figli proprio in virtù di tale affido.

Tale sistema infatti prevedeva rigidi orari di visita per il coniuge non affidatario e spesso gli stessi erano difficili da conciliare con il lavoro.

L'ex coniuge aveva però la possibilità di porre forti limiti agli incontri genitore/figlio in orari diversi rispetto a quelli previsti nella pronuncia di separazione/divorzio.

La legge del 2006, stravolge tutto perché stabilisce che il regime ordinario dei figli è quello dell'affido condiviso e l'affido esclusivo ad un solo genitore si applica solo in limitati casi previsti dalla legge, in particolare quando uno dei genitori si mostra incapace di tutelare gli interessi del figlio e può addirittura portare nocumento ad una sana crescita e a un sano sviluppo psico-fisico dello stesso.

L'obiettivo della riforma è tutelare la bigenitorialità attraverso un rapporto continuato ed equilibrato del minore con entrambi i genitori. In tale ottica i genitori devono collaborare al fine di prendere insieme le decisioni più importanti inerenti i figli.

In questo nuovo contesto al giudice sono riconosciute molte prerogative, infatti, sceglie il genitore collocatario, è praticamente il genitore con cui il minore deve abitare, ma poi adotta tutte le altre decisioni tenendo in considerazione il contesto.

Ad esempio il giudice valuta la situazione abitativa del coniuge non collocatario (disponibilità ad accogliere il minore nella propria casa, distanza rispetto alla scuola che il bambino frequenta, presenza di figli avuti con altri/e partner), tiene in considerazione l'età del minore, la propensione dei due genitori ad occuparsi del figlio, la litigiosità dei due ex coniugi e fattori simili e in base a tali fatti assume una decisione.

Ad esempio in una situazione di elevata litigiosità in cui i due ex coniugi non riescono ad andare d'accordo su nulla, il giudice potrebbe preferire stabilire degli orari e dei giorni precisi in cui il genitore non collocatario può prendere il figlio con sé. Quando la litigiosità è bassa, o assente, può lasciare ai genitori la libertà di prendere accordi in base alla loro disponibilità e agli impegni.

In questi casi il genitore non collocatario può tranquillamente andare a prendere il figlio a scuola portarlo con sé durante la settimana, occuparsi delle sue attività extra-scolastiche, insomma una vera e propria divisione dei ruoli.

Questa può ovviamente risultare difficile laddove il genitore non collocatario per ragioni di lavoro viva molto distante rispetto a dove vive il figlio. Il regime di affido condiviso funziona bene laddove la famiglia ha comunque un certo equilibrio e rapporti civili tra le parti.

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L'ascolto del minore

La legge stabilisce anche che nei procedimenti inerenti l'affidamento/collocamento dei figli minori, il giudice deve ascoltare il minore che abbia compiuto 12 anni e in alcuni casi può disporre anche l'ascolto di bambini di età inferiore, tenendo però in considerazione la maturità dimostrata dal figlio.

Questa disposizione è contenuta nella Convenzione Internazionale di New York del 20 novembre 1989 sui diritti del fanciullo (ratificata dall'Italia), inoltre è stata ripresa Convenzione Europea di Strasburgosull’esercizio dei diritti del fanciullo del 25 gennaio 1996 ratificata dall'Italia nel 2003.

Queste disposizioni affermano che il bambino che abbia compiuto i 12 anni di età debba essere ascoltato quando il giudice deve decidere su fatti che li riguardano in modo diretto o indiretto.

Ovviamente questa fase è molto delicata perché il bambino potrebbe essere stato sottoposto a pressioni, proprio per questo è stabilito che l'ascolto possa essere diretto e quindi in udienza, oppure indiretto, cioè in separata sede. In entrambi i casi può essere coinvolto un ausiliario che sia esperto in materia, ad esempio non è raro che il giudice decida di farsi assistere da assistenti sociali o psicologi.

In questa fase è molto importante che sia rispettata la tenera età del bambino e quindi la sua fragilità emotiva.

Di conseguenza il bambino deve essere avvertito del fatto che dovrà avere un colloquio con il giudice, inoltre si esige puntualità, cioè il bambino non deve essere lasciato in attesa per ore. Deve essere messo a suo agio e il linguaggio usato per parlare con il bambino deve essere a lui accessibile, in modo che possa realmente essere ascoltato e capire di cosa si sta parlando.

Il bambino durante il colloquio non deve subire pressioni, la chiacchierata deve essere registrata o verbalizzata. Il giudice dopo aver ascoltato il minore non è obbligato a scegliere la soluzione preferibile per lui tenendo in considerazione la volontà espressa dal bambino, deve cercare di scegliere sempre la strada che ritiene migliore nell'interesse del minore.

Le valutazioni sono abbastanza complesse in quanto deve cercare di capire anche quanto possa essere stato influenzato da un genitore o dall'altro e quanto pesi il fatto che uno dei due vive un maggiore sofferenza rispetto all'altro.

Il caso: il figlio sceglie il collocamento alternato

Il caso: il figlio sceglie il collocamento alternato

Ritornando al caso concreto, il tribunale di Firenze nella sentenza 2945 del 2018 segna un'importante svolta, infatti ascolta il minore e su sua indicazione decide che lo stesso sarà collocato una settimana presso il padre e una settimana presso la madre.

Inoltre stabilisce che sia il padre ad occuparsi delle varie incombenze inerenti le attività agonistiche del figlio e la cura della patologia (gonartrosi) di cui il minore soffre perché la madre ha mostrato una certa diffidenza verso tali tematiche.

Il minore ascoltato ha più volte ribadito di preferire tale soluzione nonostante la casa del padre fosse distante rispetto alla scuola frequentata, sottolineando però che in questo modo avrebbe potuto ampliare la rete di amicizie anche in virtù del fatto che il padre era comunque propenso ad accompagnarlo nei vari spostamenti.

Nel caso in oggetto il giudice ha anche stabilito la ripartizione delle spese di mantenimento senza necessità di prevedere l'obbligo di un genitore di versare l'assegno all'altro.

Solo per le spese imprevedibili il giudice ha stabilito che devono essere ripartite tenendo in considerazione la capacità di spesa di ciascuno dei due genitori.

Questa soluzione di sicuro può sembrare scomoda perché non tiene in considerazione l'attaccamento alla casa in cui il bambino è cresciuto fino a qual momento, di solito infatti si tende a riconoscere una certa importanza a tale luogo anche dal punto di vista affettivo.

Inoltre potrebbe sembrare una scelta in grado di generare una certa confusione nel bambino che ogni settimana deve cambiare casa, ma a prevalere è stata la volontà del minore apparso sereno di fronte all'ipotesi di dover cambiare collocamento frequentemente.

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