Avvocato se hai il telefono in studio non sei un consumatore


I contratti per la fornitura di servizi si iscrivono nella categoria di quelli tra consumatore e impresa e a questa tipologia si applica il Codice del Consumo

Se sei un avvocato sai che l'individuazione del foro competente per materia e per territorio è uno degli atti più importanti all'interno di un'azione giudiziaria in quanto può inficiare il procedimento.

In materia molte sono le dispute e tra le ultime decise dalla Cassazione vi è l'affermazione del principio secondo il quale l'avvocato non è consumatore se ha il telefono in studio. Ecco cosa vuol dire questa strana affermazione.

Cosa vuol dire che l'avvocato non è consumatore se ha il telefono in studio?

osa vuol dire che l'avvocato non è consumatore se ha il telefono in studio?

Quando si stipulano contratti per la fornitura di servizi, ad esempio fornitura di luce, gas, o fornitura del servizio telefonico si iscrivono tali atti nella categoria di quelli tra consumatore e impresa e a questa tipologia si applica il Codice del Consumo, cioè il decreto legislativo 206 del 2005.

Lo stesso individua il Foro del Consumatore, cioè stabilisce il principio secondo il quale in caso di controversia tra le parti, la competenza territoriale è del tribunale del foro del consumatore, si fa quindi riferimento al suo domicilio.

Si ritiene generalmente che il legislatore abbia optato per questa scelta per favorire il consumatore considerato parte economicamente debole del rapporto, ma si vedrà nel prosieguo che tale comune convinzione in realtà non ha una base giuridica.

Ora che è stata brevemente delineata la disciplina è bene anche capire come viene definito il consumatore dal legislatore.

In base al Codice del Consumo il consumatore è:

  • una persona fisica.
  • che agisce e stipula contratti per scopi che nulla hanno a che fare con l'attività imprenditoriale.

L'imprenditore invece è:

  • la persona fisica o giuridica (possibilità esclusa per il consumatore).
  • che agisce nell'esercizio della propria attività imprenditoriale o professionale.

Questo vuol dire che se una persona, che di professione fa l'avvocato, stipula un contratto per la fornitura del servizio telefonico per la sua abitazione e nella stessa non è ubicato anche lo studio, può essere considerato consumatore, viene considerato professionista se stipula la stessa tipologia di contratto per il locale in cui è ubicato lo studio.

In base alla normativa, il professionista agisce in tale qualità anche nel caso in cui il contratto sia stato stipulato per un'attività che può essere considerata accessoria rispetto al'attività stessa.

Vi è però sul punto da sottolineare che nel caso in oggetto si trattava di un avvocato e considerando che oggi molte attività devono essere eseguite attraverso le procedure telematiche, resta difficile inquadrare un contratto telefonico, che spesso prevede anche la connessione adsl, come un atto meramente accessorio.

Andando oltre queste note, la decisione della Corte di Cassazione con l'ordinanza 22810 del 26 settembre 2018, vengono chiariti molti dubbi e perplessità in ordine all'inquadramento del contratto per la fornitura del servizio telefonico.

I principi dedotti possono essere applicati per estensione anche ad altri contratti di fornitura e ad altri professionisti e quindi rappresenta un pilastro fondamentale per chiunque svolga attività professionali.

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Il caso

Nel caso in oggetto un avvocato aveva citato in giudizio la compagnia telefonica perché dopo avere stipulato il contratto per la fornitura del collegamento telefonico, non aveva attivato il servizio, di conseguenza l'avvocato lamentava il danno di immagine e il disagio inerente la non attivazione del servizio.

Nel proporre l'azione individuava come foro competente proprio quello del consumatore, che prevale rispetto ad altri fori individuati con applicazione delle norme del codice di procedura civile o con applicazione delle clausole contrattuali.

La compagnia telefonica fin da subito ha eccepito l'incompetenza del tribunale adito (tribunale di Monza) ritenendo che in realtà la competenza fosse del tribunale di Roma in quanto le clausole contrattuali prevedevano tale foro.

Nel primo grado di giudizio il tribunale di Monza rigetta l'eccezione di incompetenza e condanna la compagnia al risarcimento del danno.

La compagnia telefonica a questo punto propone l'appello al tribunale di Milano che a sua volta lo respinge riconoscendo la competenza del foro individuato dall'avvocato.

Viene quindi proposto il ricorso in Cassazione che di fatto ribalta i principi affermati dal giudice di primo e secondo grado.

La Corte di Cassazione in primo luogo ribadisce che in base al Codice del Consumo affinché un contratto sia qualificabile come contratto professionale (articolo 3) non serve che lo stesso costituisca esercizio dell'attività professionale o imprenditoriale, basta che si tratti di un'attività che soddisfi un interesse anche semplicemente connesso all'attività professionale.

In secondo luogo la Corte di Cassazione sottolinea che il decreto legislativo 206 del 2005 nel definire il "consumatore" non mette in alcun caso in rilievo la posizione di debolezza del consumatore rispetto all'altro contraente.

Di conseguenza questo principio non è applicabile, quindi sebbene l'avvocato nel caso in oggetto potesse essere parte economicamente più debole, questo non ha alcuna rilevanza alla fine dell'individuazione del foro.

Considerando tali ordini di ragioni la Corte di Cassazione accoglie il ricorso della compagnia telefonica e individua il foro competente nel tribunale di Roma.

Ulteriori precisazioni sul caso in esame

Ulteriori precisazioni sul caso in esame

Questo non vuol dire che il professionista non avesse diritto al risarcimento del danno, ma solo che era stato erroneamente individuato il giudice competente e di conseguenza tale vizio va ad inficiare l'intera procedura.

Non solo, perché la Corte di Cassazione condanna la parte a pagare le spese dei tre gradi di giudizio. Come si vede le conseguenze dell'errata individuazione del foro sono pesanti e quindi è bene porre particolare attenzione quando si intraprende un'attività processuale.

A tale proposito devono essere fatte ulteriori precisazioni. In primo luogo l'eccezione di incompetenza territoriale deve essere proposta rispettando i termini previsti dalla legge.

L'articolo 38 del codice di procedura civile sottolinea che può essere sollevata anche d'ufficio non oltre la prima udienza di trattazione, la compagnia telefonica ha potuto proporre l'incompetenza territoriale come motivo di appello proprio perché aveva sollevato la questione fin dall'inizio, mentre non avrebbe potuto sollevare la questione solo in secondo grado o davanti alla Corte di Cassazione.

Ovviamente non si tratta di cavilli, ma in merito all'errata individuazione del foro di competenza ci possono essere anche altre conseguenze. Si è visto nel caso in oggetto che la parte soccombente è stata condannata al pagamento delle spese di giudizio per i 3 gradi.

Per l'avvocato che sbaglia il foro però vi possono essere importanti conseguenze, cioè può configurarsi la responsabilità professionale. Sempre la Corte di Cassazione nella sentenza 16364 del 2015 ha condannato un avvocato perché aveva erroneamente individuato il foro.

Per arrivare a tale risultato l'errore deve però essere stato grossolano, ad esempio perché vi è una giurisprudenza consolidata in materia.

Di sicuro il caso in oggetto farà scuola perché avendo la Corte di Cassazione ora fissato dei paletti precisi all'interpretazione delle norme sull'individuazione del foro per l'applicazione del Codice del Consumo, non sarà possibile fare riferimento ad altre interpretazioni anche se provenienti da giudici di primo o secondo grado.

Di conseguenza se viene erroneamente individuato il foro competente, tralasciando i principi su esposti è configurabile una responsabilità del legale rappresentante.

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